La Guerra dei fuochi

Rogo di rifiuti (foto fonte web)

All’indomani di un’altra giornata di roghi e sversamenti illegali nel Vesuviano, ci si risveglia con l’amaro in bocca di chi pur lottando da anni non vede ancora aprirsi uno spiraglio. Quando ci si renderà finalmente conto che siamo in guerra? Una guerra contro malgoverno e malaffare con le sue vittime e i suoi carnefici.

Per tutti quelli che amano mettere la testa sotto la sabbia o la polvere sotto al tappeto, vada questo mio appunto: non sarà il negare l’evidenza di una terra martoriata da inquinamento e mafia a salvare la vita vostra e quella dei vostri cari; non sarà il vostro voler minimizzare la situazione ad evitare le conseguenze letali di quanto ormai accade da anni sotto gli occhi di tutti. Se vivete a queste latitudini, fatevene una ragione, vivete nella Terra dei fuochi!

Spesso penso a Don Palmiro Prisutto, coraggioso prete di Augusta che combatte ormai da anni su due fronti, uno è quello ormai scontato di chi inquina in maniera più o meno istituzionale, seminando morte e distruzione sul territorio; l’altro è quello dell’ostracismo dei suoi stessi concittadini per la sua lotta contro l’inquinamento del petrolchimico più grande del Mediterraneo.

Sì perché in questo Paese, dalle Alpi in giù, pare che si preferisca il lavoro alla morte, siamo talmente soggetti a questa pressione sociale da accettare passivamente il fatto che si possa morire per uno stipendio, per non parlare poi della svendita della dignità, che a questo punto passa addirittura in secondo piano.

Così come Montedison ed Enichem hanno in 61 anni devastato un territorio compreso tra Augusta, Priolo Gargallo e Melilli, barattando la salute e l’ambiente in cambio di una promessa occupazionale gradualmente disattesa, così da tempo accade anche qui da noi in Campania e non solo con simili e scellerate politiche industriali, ma con il sistematico annullamento del già barcollante sistema di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti e, parallelamente, ad una tolleranza di fronte ad un sottaciuto sistema di smaltimento illegale degli stessi, frutto di un’economia sommersa ormai al limite dell’istituzionalizzazione.

Molti degli attivisti, quelli che hanno il reale polso della situazione, quelli che non hanno le proverbiali fette di prosciutto sugli occhi, già avevano avvertito questo stato delle cose e da anni segnalano lo stato dell’arte della Terra dei fuochi ma lo stato è assopito quasi come se il bruciare ciclico dei siti di stoccaggio fosse un evento naturale o inevitabile o adducibile al balordo di turno. Lo stato risponde con palliativi o con vane promesse, specchietti per le allodole come video-sorveglianza, droni ed esercito non hanno fin ora evitato che le nostre campagne e il nostro parco nazionale divenissero discariche di fatto e che l’hinterland bruci quotidianamente. Tanto per i più, così come lavorare senza protezione e tutela risulta essere la normalità, sarà oltremodo normale anche che i rifiuti vadano in campagna e che di conseguenza brucino, è l’economia che ce lo impone, la nostra economia mafiosa.

Ci vuole coraggio ma non quello scontato e tenuto volutamente isolato del vero attivismo, ma il coraggio di uno stato maturo e non ruffiano, uno stato che non incentivi con la sua inerzia l’illegalità ma deciso a regolarizzare una volta per tutte le industrie e gli artigiani che da sempre lavorano a nero e punire chi si mostra recidivo, solo in tal modo si potrà ricostituire un circolo virtuoso che al momento penalizza i pochi onesti, quelli che pagano, al netto delle spese, il ricarico della loro onestà. Solo uno stato deciso a combattere il malaffare delle ingerenze malavitose potrà evitare tutto ciò, non con le chimere tecnologiche e le trovate pre-elettorali ma con una presa di posizione netta e decisiva; altrimenti rimarremo una landa desolata legata al palo delle nostre sciovinistiche illusioni.