L’Osservatorio del Vesuvio

L’Osservatorio Vesuviano con sfondo panoramico (foto fonte web)

La storia dell’Osservatorio Vesuviano, un’istituzione fondamentale per il Vesuvio e i vesuviani, ma soprattutto per la vulcanologia moderna. Un breve excursus nella sua storia e tra i suoi protagonisti.

L’Osservatorio Vesuviano, costruito tra il 1841 e il 1848, a soli due chilometri di distanza dal cratere, è il più antico osservatorio vulcanologico al mondo. In verità gli scopi per cui fu inizialmente costruito erano stati molteplici e solo marginalmente riguardavano lo studio del vulcano; si voleva infatti: a) approfondire gli studi in campo meteorologico, b) effettuare misurazioni del campo magnetico terrestre, c) osservare l’attività vulcanica in relazione alle perturbazioni che quest’ultima generava nel campo elettromagnetico e sul clima.

La localizzazione scelta, la Collina del Salvatore, aveva la funzione di assecondare le osservazioni e gli studi predetti. Essa infatti consentiva libertà di orizzonte, vicinanza delle nubi, lontananza dagli insediamenti antropici ed aveva, inoltre, il gran pregio di essere al riparo dal percorso delle colate di lava.

Terminata nel 1848 la costruzione dell’edificio (già inaugurato nel 1845) che avrebbe dovuto ospitare l’attività di ricerca, il Re Ferdinando II di Borbone poté firmare la nota di affidamento dell’immobile al Melloni, noto fisico italiano posto alcuni anni addietro a capo della neonata istituzione. La scelta fu però infelice per le sorti dell’Osservatorio. Il Melloni, pur valente scienziato, aveva fama di essere un liberale fervente e infatti, in coincidenza con i moti del 1848, la Polizia fece pervenire alla segreteria del Re il seguente rapporto: <<Cavaliere Macedonio Melloni Direttore dell’Osservatorio Meteorologico. Cattivo! Notabilità europea di ultraliberismo, amico intimo e corrispondente dei più famosi radicali e cospiratori contemporanei; egli, nelle ultime sovversioni del Regno, comunque non abbia trasmodato in atti di manifesta fellonia, pure fece parte del Circolo Costituzionale, propugnò e difese i principi della Giovane Italia e fece proposta nel Consiglio di P.I. (Pubblica Istruzione nda.) per l’ordinamento di un battaglione universitario che avrebbe avuto per destino la guerra in Lombardia. Proposta peraltro che venne respinta dalla maggioranza di quel consesso>>. Il Melloni fu ovviamente rimosso dall’incarico e l’Osservatorio Vesuviano seguì temporaneamente le sorti del suo direttore.

Il Re se ne disinteressò completamente sino al 1856, anno in cui fu nominato il successore dello sfortunato Melloni: Luigi Palmieri. Una personalità che dovette prodigarsi a lungo per far riemergere l’istituzione dal dimenticatoio in cui era stata relegata. L’attività di recupero della neonata istituzione scientifica non impedì comunque al Palmieri di condurre importantissimi studi. Grazie a questi il nuovo reggente dell’Osservatorio Vesuviano fu in grado di mettere a punto il primo sismografo elettromagnetico della storia con il quale dimostrò la corrispondenza tra l’attività sismica e quella vulcanica. Lo scienziato si distinse anche per un comportamento eroico tenuto in occasione dell’eruzione del 1872. In quell’occasione la collina del Salvatore venne circondata dalle lave e nell’Osservatorio rimase intrappolato il direttore che aveva rimandato sino all’estremo il momento di abbandonare il proprio posto di osservazione, nel tentativo di mantenere informata la popolazione sull’andamento del fenomeno eruttivo. Dopo questo episodio Palmieri fu nominato senatore del Regno e il governo decise di istituire nell’Osservatorio una stazione telegrafica, per evitare quell’isolamento nelle comunicazioni che era stato sia fonte di drammatiche preoccupazioni, sia causa di inefficienza dell’intero apparato organizzativo predisposto per portare soccorso alla popolazione in difficoltà.

Sopraggiunta la morte del Palmieri, la direzione dell’Osservatorio fu affidata dapprima a Eugenio Semmola e successivamente a Raffaele Matteucci. Durante la direzione di quest’ultimo si verificò l’eruzione del 1906 che isolò nuovamente l’edificio in cui era collocata la preziosa istituzione scientifica. Questa volta però il Matteucci e i sei carabinieri comandati nella piccola caserma ancora oggi visibile alle spalle dell’Osservatorio, furono in grado, grazie al telegrafo, di mantenere aggiornata la popolazione circa l’andamento del fenomeno eruttivo. Nonostante ciò, durante le fasi più drammatiche dell’eruzione, divampò una feroce polemica a distanza tra Matilde Serao, scrittrice e giornalista del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, e il Matteucci. L’asprezza dello scontro può essere desunta dalle seguenti parole di fuoco scritte dalla Serao in un articolo, dai toni che non rendono giustizia al comportamento successivo del direttore dell’Osservatorio: <<Quello che si rileva anche da questo dispaccio qui sopra è il desiderio del Matteucci di venir via dall’Osservatorio. E se ne scenda, se ne scenda, giacché ne ha tanta voglia!>>. Questa e altre polemiche certo non resero un gran servigio alla prestigiosa istituzione scientifica che, negli anni successivi, fu lasciata in uno stato di completo abbandono dalle autorità governative, nonostante il suo enorme valore sia da un punto di vista scientifico sia sotto l’aspetto che oggi definiremmo della “protezione civile”. Lo stato d’abbandono e il relativo degrado in cui fu ridotto l’Osservatorio fu tale da minare la salute del Matteucci sino probabilmente a condurlo a morte. Si narra, infatti, che il direttore fosse costretto a passare lunghi periodi esposto alle intemperie, non avendo neanche il denaro necessario per rimettere i vetri rotti alle finestre.

Dopo la morte del Matteucci, la direzione fu dapprima affidata al fisico Chistoni e successivamente, nel 1911, all’abate Giuseppe Mercalli, universalmente noto come l’ideatore dell’omonima scala per la misurazione dell’intensità dei terremoti. Il Mercalli cercò di risollevare le sorti dell’istituzione scientifica, ma la morte lo colse improvvisamente ad appena tre anni dalla sua nomina.

La morte del Mercalli segnò l’inizio di un periodo caratterizzato da una certa precarietà gestionale. L’Osservatorio fu dapprima retto da un comitato costituito da professori Universitari e successivamente affidato a colui il quale sino al quel momento ne era stato il curatore: il prof. Alessandro Malladra. Il lavoro di quest’ultimo fu particolarmente importante in relazione all’efficace e costante attività di divulgazione delle conoscenze sino a quel punto acquisite sul vulcano napoletano.

Nel 1937 divenne direttore il prof. Giuseppe Imbò. Questi cercò di spingere affinché l’istituzione fosse riportata al prestigio che le competeva e l’attività di ricerca fosse ripresa in funzione dell’antico obiettivo del Palmieri: riuscire a prevedere le eruzioni. Il metodo messo a punto dall’Imbò si rivelò valido tant’è che il direttore dell’Osservatorio fu in grado di prevedere quella che è stata a tutt’oggi l’ultima eruzione del Vesuvio. L’eruzione del 18 Marzo 1944. In quel frangente Imbò tentò, senza successo, di convincere gli alleati (era in corso la seconda guerra mondiale) affinché predisponessero misure per la salvaguardia della popolazione civile e per lo sgombero del campo d’aviazione di Terzigno, che sarebbe stato presumibilmente esposto alle colate di fango del vulcano.

La direzione di Imbò durò fino al 1970 in corrispondenza con l’inizio della prima fase ascendente del Bradisismo Flegreo. La gravità del fenomeno flegreo (l’innalzamento del suolo, sotto l’effetto delle spinte sotterranee, rese tra l’altro quasi inaccessibile alle imbarcazioni il porto di Pozzuoli) e il timore di un’eruzione del vulcano della Solfatara evidenziò la tempra del nuovo direttore, il prof. Giuseppe Luongo (in precedenza c’era stata la direzione di Paolo Gasparini. Dal 1971 al 1983 ndr.) peraltro già distintosi per l’incessante opera di studio e divulgazione dei rischi derivanti dall’abnorme antropizzazione delle pendici del vulcano. Una delle ultime direzioni dell’Osservatorio Vesuviano, prima che perdesse la propria autonomia gestionale e fosse assorbito dall’INGV, fu affidata alla diligente opera della professoressa Lucia Civetta (dopo le sono succeduti Giovanni Macedonio, Marcello Martini e Giuseppe De Natale; attualmente ne regge le sorti Francesca Bianco, ndr.).

Di Ettore Di Caterina