Stato, parastato e antistato

Immagine metaforica del Tricolore (foto fonte web)

L’Italia è l’unico Paese, in base alla logica dell’emergenzialismo, dove le associazioni si sostituiscono allo stato dimostrandone il fallimento, e dove lo stato ringrazia pure.

Lo stato, si sa, siamo noi e quindi ben venga la consapevolezza e l’impegno della collettività quando ce n’è bisogno; ed è infatti arcinoto che, durante le emergenze, la società civile dà il meglio di sé; il volontariato, spesso in maniera anonima e ovviamente gratuita, coadiuva lo stato quando questo ne ha più bisogno e, in primis la protezione civile, ma anche tutte quelle entità presenti sul territorio fanno a gara per manifestare a pieno la loro solidarietà. Ma, come pure ben sappiamo, le emergenze, nel nostro paese, sono tante, da quelle legate alle catastrofi naturali ma anche a quelle meno naturali dei rifiuti e con l’aggravante che purtroppo queste diventano situazioni croniche e, come spesso accade, anche l’intervento del volontariato nel supplire lo stato diventa una costante quasi del tutto scontata; ed è qui che incominciano i problemi.

Siamo ben avvezzi, soprattutto qui in Campania, al fatto di trovarci, praticamente in maniera ininterrotta, e tra alti e bassi, in una pluridecennale emergenza rifiuti poiché non si è voluto mai affrontare del tutto una politica seria di abbattimento e neanche tanto meno di smaltimento virtuoso dei rifiuti, tanto di quelli domestici e ancor meno di quelli industriali. Questa situazione, oltre al progressivo svuotamento delle casse delle amministrazioni locali, ha comportato fino ad oggi il quasi totale affidamento ai privati dello smaltimento dei rifiuti, da quello spicciolo del porta-a-porta fino al loro conferimento e trattamento presso il termovalorizzatore, permettendo, sempre alle aziende private, di ricavarne alti profitti grazie a leggi ad hoc che hanno reso lucrativo l’affare.

Per il resto invece per tutta quella serie di criticità persistenti sui territori ci si è, ancora una volta affidati alla farsa delle giornate ecologiche, degli slogan e dell’educazione ambientale. Infatti in determinati periodi dell’anno, amministrazioni locali ed enti statali patrocinano o presenziano all’impegno dei volontari, sciacquandosi la coscienza per ciò che sarebbe normale facessero loro e le amministrazioni che rappresentano. Ora, ben venga l’impegno della cittadinanza e l’educazione delle scolaresche ma pare ovvio che il problema non lo si risolva in tal modo e che spesso, il tutto lo si riduca, stampa al fianco, ad una mera manifestazione propagandistica, ad uso e consumo di tali amministrazioni e delle associazioni che le affiancano.

Caso analogo avviene per quelle aree ambientali protette, quelle riserve statali là dove lo stato demanda alle associazioni ambientaliste la loro tutela; azione lodevole e molto simile a quella dove chi amministra la cosa pubblica affida i monumenti ad enti privati, a fondazioni e spesso, ancor peggio, affida a dei semplici volontari il loro restauro. Il perché accada questo è presto spiegato, lo stato cede una sua parte di territorio a chi è disposto a prendersene cura ma, allo stesso tempo accade che questi ne divengano, non diciamo i padroni, ma un qualcosa di molto simile, in cambio di un obolo per le spese o tanta, tantissima visibilità e curriculum politico.

Non stiamo al livello delle aberrazioni for profit delle autostrade e delle ferrovie o degli stabilimenti balneari, là dove, per questi utimi, in cambio di una ipotetica cura del territorio e di un non lauto esborso economico, i privati diventano praticamente i padroni delle spiagge, non lasciando, nella stragrande maggioranza dei casi, spazio a chi vorrebbe fruire liberamente del litorale o accontentarsi di quegli immondezzai che sono le spiagge libere. Ma anche la situazione del no profit apre scenari inquietanti nei quali chi gestisce i monumenti pubblici viene meno a quei principi di democraticità quali la selezione pubblica del personale e il rispetto dei diritti minimi di chi lavora “a gratis” ma soprattutto ci impedisce di esercitare il nostro diritto di accedere a un patrimonio pubblico e statale di cui, essendo cittadini italiani, ne siamo anche noi i proprietari.

Diciamo che la contingenza prolungata di questo stato delle cose, nel nostro Paese, fa sì che fondazioni ed associazioni diventino di fatto i proprietari di monumenti, giardini e riserve naturali e, là dove sarebbe opportuno che le associazioni mantenessero il loro scopo statutario, fin quando questo fosse legittimato dalla loro sussidiarietà nei confronti di uno stato assente o impotente, pare invece evidente che la cronicizzazione delle emergenze abbia offerto un doppio scopo a stato e a chi stato non è. Tutto ciò è ben evidenziabile nella deroga di ogni normativa preesistente, allargando le maglie della normativa a chi prima non poteva entrare nella gestione delle risorse pubbliche e, per lo stato, la possibilità di scrollarsi di dosso una parte di patrimonio altrimenti ingestibile; in poche parole il fallimento, se non addirittura la complicità.

Ma lo stato allora dov’è? Lo stato è, nel migliore dei casi lì a guardare, incapace di agire e talvolta neanche di capire che al momento è solo la normativa a legittimarne la proprietà ma, nella pratica, quel patrimonio appartiene già a qualcun altro che di certo non sta a guardare.