Un nuovo mito da sfatare

Immagine del post/bufala che gira, da un po’ di tempo a questa parte, in rete. (foto fonte web)

Se una bugia la ripeti più volte, questa rischia di diventare una verità e soprattutto, se questa bugia piace, la verità diviene assoluta ed inconfutabile. La bufala dei primati dello Stivale.

Tra sciovinismo e nazionalismo, tra revisionismo storico e superficialità intellettuale, conditi dal facile provincialismo che ci contraddistingue, speculare ad un’inerzia, quella sì da primato, condividiamo acriticamente post che esaltano i presunti record della nostra terra, sia essa quella italica, sia essa quella dove rintocca il nostro di campanile.

Ma dove è nato questo nuovo mito, questa cartina geografica che spopola da almeno un paio d’anni, più sugli smartphone che sulle mura scolastiche? Ovviamente non porta né firma né fonti ma un indizio della sua ispirazione potrebbe essere quello fornito dall’intervento di Oscar Farinetti, imprenditore e fondatore di EatItaly, in una trasmissione televisiva del 2 novembre 2017.

Noi, dal nostro canto, abbiamo provato a sfatare tutte le inesattezze contenute nel post, e lo abbiamo fatto non senza fatica ma da umili servitori della corretta informazione, quella onesta e circostanziata ma penalizzata perché scomoda e verbosa; a voi la volontà di scegliere tra il vero e il verosimile.

L’Italia occupa quasi lo 0,6% della Terra e non lo 0,5% poiché ha una superficie di circa 300.000 km quadrati, mentre la Terra è circa 510 milioni di km quadrati. È però vero che ci vive circa lo 0,8% dell’umanità.

Le differenti specie vegetali che si contano nel mondo sono circa 350.000 ma, al netto delle sempre nuove scoperte, in Italia ne abbiamo circa 7.600 (fonte Ministero dell’ambiente) ma in realtà, quelle endemiche, cioè esclusive del territorio italiano, sono 1.708. E, considerando quante ce ne sono nel mondo, è facile che esistano paesi che abbiano tante specie autoctone quante ne abbiamo noi se non di più; ad esempio in Europa e nel bacino mediterraneo la Turchia ne ha più di noi o, il citato Brasile con 45.678 specie vegetali, è considerato per la sua alta biodiversità, assieme a Australia, Cina, Colombia, Ecuador, Filippine, India, Indonesia, Madagascar, Malesia, Messico, Papua Nuova Guinea, Perù, Repubblica Democratica del Congo, Stati Uniti, Sudafrica e Venezuela come paese “megadiverso” dal Centro di monitoraggio per la Conservazione della Natura (UNEP-WCMC), un’agenzia delle Nazioni Unite, lista nella quale l’Italia non c’è.

La stessa cosa vale per le specie animali, quelle tipicamente italiane sono circa 17.400, le altre sono specie introdotte nel nostro paese nel tempo e non originarie della Penisola; resta vero che superano le 58.000 specie ma si stima che nel mondo ce ne siano più di otto milioni e di conseguenza se valutiamo la Cina, citata anch’essa nel post virale come termine di paragone, all’interno dei suoi confini è stata calcolata la presenza di 7.561 specie solo tra i vertebrati contro le 1.265 italiane.

Sui vitigni invece, per quanto il primato sia nostro, bisogna essere precisi. Nel mondo esistono circa 5.000 cultivar di vitigni, in Italia quelli diffusi sono 922 tra varietà da vino (circa 600), varietà da tavola, portinnesti, da destinazione particolare e da moltiplicazione e non 1.800 come scritto nel post. In Francia, scendiamo a circa 450.

La bufala continua poi chissà perché con le mele, avrebbero potuto citare l’olivo o gli agrumi per i quali abbiamo una produzione di rilievo e invece no. Ad ogni modo, visto che nel mondo sono stati identificati circa 7.500 tipi diversi di mele; è vero che in Italia ne coltiviamo tante di specie e sono circa 1.369, ma lo stesso si può dire per tanti altri paesi dove, così come per l’uva, si adottano cultivar non endemiche.

Anche sui 140 tipi di grano italiano e il fatto che negli Stati Uniti ce ne siano solo 6 lascia alquanto perplessi. A prescindere dal fatto che il grano da qualche tempo a questa parte si classifica, secondo lo studio di Van Slageren, in sei gruppi basilari e quindi tutti gli altri tipi di grano sono sottospecie di questi, da dove verrebbero fuori i presunti centoquaranta tipi di grano presenti in Italia? Probabilmente saranno la successiva selezione genetica delle suddette 6 specie ma questo ovviamente varrà anche per altri paesi, inclusi gli USA che sicuramente avranno tante specie autoctone. Il termine autoctono ovviamente riguarderà l’area geografica di origine (o meglio, di domesticazione) di un prodotto. In questo senso il grano è originario quindi endemico della mezzaluna fertile, tra il Tigri e l’Eufrate, così come il mais viene dal Messico e i pomodori sono sempre americani e divenuti autoctoni altrove, assumendo caratteristiche specifiche come ad esempio in Italia.

Ma la disinformazione maggiore, e quella che riscuote più successo, è quella sui numeri del patrimonio artistico. È una storia vecchia, e che va avanti da decenni e come spesso accade ha una base di partenza veritiera ma poi ci si fa prendere la mano ed è reiterata praticamente da tutti, anche da persone dalle quali meno te lo aspetteresti, e praticamente diviene un dogma.

Che il patrimonio culturale italiano sia notevole è un dato di fatto ma non è ammissibile una stima che usi una percentuale a paragone col resto del mondo. Come si può infatti sostenere (e lo hanno fatto anche tanti addetti ai lavori) che in Italia esista il 70/75 per cento dell’Arte mondiale, se non esiste un catalogo completo di tutte le opere d’arte del mondo, Italia compresa? Ma poi, se esistono zone dove la civiltà è nata prima che in Italia, vedi Egitto, Mezzaluna Fertile, bacino dei grandi fiumi in Cina, la zona Indogangetica e dove l’uomo non s’è mai spostato da lì producendo arte da sempre, come si fa solo a considerare che l’Italia abbia più di costoro e anche l’arte di costoro?

Ma andiamo ai dati: è vero che per l’UNESCO siamo il paese con più siti patrimonio dell’umanità, con 55 luoghi nella lista ma vale anche per la Cina che pure ne ha 55, la Spagna ne ha 48 e la Francia 45. Poi ovviamente c’è chi come Berlusconi ha le traveggole, che sosteneva pubblicamente che l’Italia possedeva il 50% dei beni patrimonio UNESCO, scambiando, il numero 50 (arrotondamento per eccesso dei 45 siti UNESCO italiani nel 2011) con una percentuale inesistente e che non corrispondeva assolutamente al 50% degli allora 911 siti del resto del pianeta. L’Italia non arrivava al 5%, così come del resto accade oggi dove infatti sui 1.121 siti del 2020, i nostri 55 corrispondono a uno scarso 5%.

A ciò aggiungiamo l’apporto di chi di arte ne capisce sul serio, Antonio Paolucci:

 […] La catalogazione va avanti lentamente, forse sarà arrivata a un quinto del patrimonio culturale italiano, tra l’altro se lo facessimo riusciremmo a smentire quella stupidaggine che tante volte si dice: “l’Italia possiede, – chi dice – il cinquanta – chi – il sessanta per cento”, è una fesseria, perché primo, noi non abbiamo completato il catalogo, non sappiamo quantitativamente quanti sono i nostri beni, secondo, non conosciamo affatto la consistenza degli altri paesi. – la Cina che ne so (intervistatore) – Quanti sono i beni culturali dell’Algeria, o del Cile. Confrontare con obiettivi statistici quantità incognite è semplicemente una sciocchezza! Non è quello, lo specifico dell’Italia è un’altra cosa, questa si che è veramente dimostrabile, certificabile, cioè il fatto che da noi il museo esce fuori dai suoi confini, occupa ogni piazza, ogni strada, ogni piega del territorio, anche il più degradato, si moltiplica dappertutto, con una densità e una visibilità sconosciuta agli altri paesi della vecchia Europa e questo discende dalla nostra storia, che ora non è qui il luogo per riassumere ma la specificità dell’Italia è il vero nostro carattere distintivo. Come io dico sempre è il museo diffuso. […] Dalla trasmissione radiofonica RadioRai3 “Faccia a Faccia” del 23/02/2009 (la trascrizione è del sottoscritto)

Possiamo quindi affermare che le nostre condizioni bio-climatiche, quelle della nostra biodiversità, ma anche quelle culturali non sono uniche o meglio, lo sono come quelle di tanti altri paesi. Del resto, il mondo è bello perché è vario, ed è meglio così!