Rischio Vesuvio: meglio criminali che fessi

Abitanti di La Palma che spalano le ceneri durante l’eruzione del Cumbre vieja (foto fonte web)

Non c’è dubbio che, in caso d’eruzione, l’unico modo per salvarsi sarà semplicemente quello di non essere lì quando ciò accadrà, ma oltre questo, cosa si sta realmente facendo in tal senso? Cosa stiamo apprendendo dall’eruzione del Cumbre Vieja? Il fatalismo è stato finalmente sostituito dai fatti o si sta semplicemente procrastinando il problema?

Ho sempre avuto l’impressione che in Italia, e non solo al sud, il fatalismo e la noncuranza rispetto alle catastrofi naturali sia un qualcosa di endemico e che lo si scongiuri in tutti i modi possibili tranne che con la scienza e la razionalità. Del resto è più facile prendersela con la natura: con il terremoto, l’alluvione o con il vulcano di turno che ammettere le proprie inadempienze e quelle di chi ci governa.

Su tutto ciò prevale ovviamente l’interesse economico, e questo lo diamo per scontato, perché la ricostruzione è forse molto più lucrativa rispetto alla prevenzione, ma crediamo che ci sia dell’altro, perché neanche in “tempo di pace” si è stati capaci di risolvere quelle emergenze create del resto da noi stessi, come ad esempio quelle dei rifiuti, con discariche, micro-discariche, siti di stoccaggio e tutte quelle terre dei fuochi che lo stivale contiene e che languono su un territorio martorizzato e volutamente dimenticato. Figuriamoci quindi come si possa reagire davanti all’imprevedibile o a ciò che si ritiene o si vuole ritenere tale.

A ciò si aggiunga anche quella sindrome dell’al lupo al lupo (cry wolf syndrome) frutto di potenziali falsi allarmi e di una scarsa conoscenza del rischio da parte della cittadinanza, e che provocherebbe un senso di sfiducia di questa nei confronti delle autorità e tutto ciò senza considerare le spese di evacuazione e ricollocazione delle popolazioni nel caso di un paventato evento catastrofico e che nessun politico locale o nazionale, contemplerebbe poiché ritenuto, dal punto di vista politico, più rischioso dell’evento calamitoso stesso; tanto, a far vittime, sarà stata la catastrofe, la “bomba d’acqua”, il cambiamento climatico, il terremoto e il vulcano ma non la scarsa prevenzione di tutti questi eventi.

A tal proposito e con specifico riferimento al rischio Vesuvio, il generale Fabio Mini ex Direttore dell’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, così si esprimeva in una lettera alla redazione di National Geographic Italia nel novembre 2007:

Se viene dato l’allarme e vengono avviate le procedure di evacuazione e poi non succede nulla si è tacciati di allarmismo e si può perfino essere perseguiti penalmente: nella migliore delle ipotesi si viene ridicolizzati e presi per fessi. Se non si fa nulla e succede qualcosa si diventa responsabili della morte di migliaia di persone e si è criminali, ma non fessi.

Detto ciò si ha l’impressione che nel corso degli anni nulla sia cambiato e, benché il nuovo piano di emergenza con la linea Gurioli abbia ormai sostituito un piano di evacuazione che seguiva i limiti amministrativi invece di quelli legati alla storia eruttiva e geologica del vulcano, crediamo che, ancora una volta, il rischio Vesuvio sia stato messo da parte in virtù di un tir’a campà che rimanderà la patata bollente o il cerino acceso allo sfortunato di turno.

Rimanendo sempre in tema di vulcani, abbiamo la dimostrazione di quanto qui da noi il problema sia tenuto in sordina nel momento in cui i media nazionali tacciono sulla disastrosa eruzione del vulcano Cumbre vieja nell’isola spagnola di La Palma (Isole Canarie) tanto da darne sommarie notizie e mostrando al suo posto le immagini idilliache del vulcano islandese, con allegre scenette di pallavolo e concerti vista lava, minimizzando la cosa e dimenticando una disparità di popolazione tra Islanda e Canarie ma soprattutto dimenticando, ad esempio, la bomba su cui siamo poggiati noi che viviamo tra Vesuvio e Campi Flegrei.

Dopo infatti 25 giorni di un’intensa eruzione fissurale sono stati espulsi fino a martedì scorso 80 milioni di m di materiale magmatico dalle 8 bocche formatesi a partire dal 19 settembre e interessando un’area di 660 ha. Il risultato in termini economici è alto, sono andate infatti distrutte 1.458 abitazioni e altre 128 danneggiate, con un totale di oltre 6.000 sfollati. Il governo spagnolo ha decretato, fino ad ora, lo stanziamento di più di 230 milioni di euro per indennizzare chi ha perso la propria casa e 20,3 milioni per i danni subiti da agricoltura e pesca e tutto ciò con un eruzione ancora in piena attività. Non stiamo quindi parlando di un evento di poco conto e pertanto degno di maggiore attenzione e quale esempio di un possibile e, per quanto assurdo a dirlo, idilliaco scenario rispetto a quanto potrebbe accadere nelle nostre zone rosse vulcaniche.

Vedere gli abitanti dei paesini di El Paraiso e di Todoque racimolare le loro suppellettili sui camion e lasciare in fretta e furia le loro case per non rivederle più, mi ha ricordato i Combat film americani che mostravano i miei concittadini (San Sebastiano al Vesuvio) che sfuggivano alla lava del Vesuvio quasi 78 anni fa.

Ed è quindi la memoria quella che manca, oltre alla cognizione di causa dei nostri amministratori locali, quelli che sostengono di stare al sicuro perché la lava, nei loro paesi, non è mai arrivata e per questa ragione andrebbe arretrata la zona rossa, come se il problema più grande di un’eruzione fosse l’inesorabile ma lentissima lava. Nel 1906 morirono centinaia di persone per il crollo dei tetti tra Ottaviano e San Giuseppe e nell’ultima eruzione, quella del 1944, dei 26 morti registrati, 24 morirono schiacciati dal crollo dei tetti sovraccaricati dal peso delle ceneri. Inoltre un’eruzione fissurale può verificarsi ovunque nel complesso vulcanico Somma/Vesuvio, proprio come accadde all’improvviso con l’eruzione del 1761 a Torre del Greco, le cui vestigia delle Montagnelle ci ricordano ancora oggi quei disastrosi eventi. Nell’eruzione sub-pliniana del 1631 si registrarono centinaia di vittime anche nel Nolano per le inondazioni dovute alle lave di fango provocate sempre dall’eruzione e questo per dire che la lava, in termini di vite umane, è l’ultimo dei problemi e che il parossismo vulcanico comprende, oltre a quelli già citati, anche tanti altri fenomeni come i flussi piroclastici, le nubi ardenti, le mofete e i terremoti che lasciano ben poco spazio alle fantasiose teorie degli amministratori vesuviani.

Ma come sosteneva il generale Mini: “Purtroppo, in Italia, e solo in Italia, essere criminali è più onorevole che essere presi per fessi.”