Cos’è la mafia?
Del come e del perché la mafia siamo noi.
La mafia, la camorra, la sacra corona unita, la stidda o la ‘ndrangheta, tanti sinonimi per un solo concetto, e che proliferano soprattutto quando sussistono alcune situazioni di base ovvero assenza dello stato, lucro, ignoranza e prepotenza.
Non mi impelagherò in questioni storiche e sociologiche perché non è il mio compito e non amo vantare conoscenze che non ho o che ho solo in maniera superficiale ma vorrei raccontare l’esperienza del quotidiano, quella che poi fornisce il terreno di coltura, l’humus fertile e il brodo primordiale alle suddette attività malavitose che ormai sono diventate un fenomeno globale ma che partono sempre dal meridione del nostro mondo o dei mondi possibili.
Quando si pensa alla mafia si pensa ormai a un qualcosa di molto sfumato, di cinematografico, colpa di Hollywood, col Padrino e Scarface o di una più cruda, ma pur sempre surreale Gomorra o addirittura di quella assai più edulcorata di Mare fuori. Si pensa alle mafie come un qualcosa di distante, quando non la si vive come una grottesca parodia stampata sugli abiti casual dei ragazzini e affissa nelle insegne dei ristoranti italiani all’estero; oppure la si pensa ancora arroccata nelle sue piazzeforti, luoghi malsani come le vele di Secondigliano o il parco verde di Caivano, solo per menzionarne due; luoghi disgraziati dove relegare i reietti della società e che, tutto sommato, agli occhi dei più, se stanno là, forse se lo meritano pure. Quel che importa e che non escano fuori da lì. Ma le mafie, è ormai cosa nota, sono oltre, sono dappertutto, ovunque esista un qualcosa su cui lucrare, la mafia è il capitale!
Ma la mafia, per molti continua ad essere un qualcosa di distante, tanto da menzionarla e additarla come causa di tutti i mali e senza timore di ritorsione alcuna. C’è un incendio? È stata la camorra! Sparano i fuochi d’artificio? È la camorra che festeggia o che segnala un carico di roba in arrivo! Discariche abusive? Monnezza per strada? È stata la camorra. Che la mafia in tutte le sue declinazioni mini le basi del nostro vivere civile è assodato ma affermazioni del genere, talvolta verosimili ma molto spesso leggende metropolitane, nascondono spesso un atteggiamento autoassolutorio e che, fin quando non verranno affiancate da nomi e prove circostanziate e cronologicamente attendibili, non faranno altro che soffiare sul fumo del luogo comune e senza muoverci di un solo passo verso la normalità. Del resto la mafia segue due regole basilari, il guadagno e l’azione indisturbata, talvolta mimetica, e se quindi ne parli o ci scherzi su e la usi come spauracchio per ogni evenienza, allora la mafia lì non c’entra, oppure ne sei talmente parte integrante che neanche te ne accorgi.
Ma da dove nasce l’atteggiamento camorristico, quella mafiosità che alimenta il tutto? Di certo non dalle sceneggiate del compianto Mario Merola o da tutta una letteratura che vorrebbe il mafioso come colui che subentra là dove lo stato non c’è, mettendo ordine nel disordine; quello non è mai esistito o se c’è stato, oggi non è più così. La mafia è la scorciatoia di chi non vuole seguire la strada lunga è difficile dell’impegno, è prevaricazione quotidiana, è il forte che soverchia il debole, e se quel debole non trova lo stato in suo soccorso, si prende la rivalsa contro colui che ritiene ancora più debole. Lo stato subentra solo quando la frittata è fatta, perché tutto sommato anche a lui conviene così, si presenta solo quando il danno di questa legge del più forte porta le conseguenze fuori dai canoni della routine e arriva agli onori della cronaca nazionale ed oltre.
Camorra è tante cose, non è solo violenza brutale o la politica corrotta, quella dei colletti bianchi, ma è anche quella che viviamo ogni giorno e di cui spesso siamo complici e che, se in taluni casi, è frutto dell’ignoranza, questo accade quando non esiste un ente superiore che ti intima a rientrare nei ranghi della legge, facendo finta di niente per quieto vivere o addirittura per connivenza col malaffare, anche quando declama la parola legalità a viva voce e con la elle maiuscola. Camorra è quando accetti che sia normale ciò che altrove è scandalo, sostenendo che tanto accade pure in altri luoghi; e ce l’hanno sempre con noi; ed è colpa sempre di qualcun altro, magari mascherando il tutto con una folcloristica e ipocrita contraddizione partenopea, così come quando il parcheggiatore abusivo estorce denaro agli avventori di un ristorante; ma anche quando metti la sedia sul parcheggio pubblico davanti al tuo esercizio commerciale, per tenerlo sempre a tua disposizione. È camorra quando occupi uno spazio pubblico e te ne appropri con la tua moto, la tua autovettura o il tuo camper. Camorra è quando denunci anonimamente il tuo vicino perché temi che con i suoi lavori abusivi o presunti tali, copra il panorama della tua costruzione, anch’essa abusiva, oppure è quel contesto dove nessuno denuncia nessuno, perché sanno che anche loro, al momento opportuno, potranno costruire abusivamente e sotto gli occhi di tutti, autorità preposte comprese. Camorra è riempire le nostre fertili campagne di rifiuti speciali e pericolosi, per non ricaricare il prodotto finale del costo del loro smaltimento; ma è anche il non curarsi di che fine fanno gli scarti di lavorazione dei lavori che fanno nelle nostre case, badando più al risparmio che all’etica e volendo rimanere ugualmente illibati come una vecchia prostituta. Camorra è non pagare le tasse perché, anche se così fan tutti, ciò vuol dire che tutti rubano e la sopravvivenza non è la casa al mare o in montagna ma quella delle mense dei poveri dove l’unica cosa che si evade è solo il pasto se arrivi in ritardo. Mafiosità è ritenere che la propria contingenza sia più rilevante di quella degli altri e che il nostro tempo e il nostro diritto valgano più di quello di chi, lecitamente, sta davanti a noi, in una fila allo sportello della posta così come in una graduatoria di un concorso.
E non mi si dica che le mafie subentrano là dove non c’è lavoro, perché ciò significherebbe che tutti coloro che sono disoccupati o inoccupati sono potenzialmente dei mafiosi e non è ovviamente così e la mafiosità, al netto del libero arbitrio, non risparmia neanche chi ha studiato e chi un lavoro invece ce l’ha, neanche colui che ritiene, giustamente, che la mafia sia una montagna di merda, perché ipocritamente reitera la sua logica familista, se non nepotista e quindi mafiosa, privilegiando la sua stirpe e i suoi interessi, magari demandando ad altri quello che non può o non vuole fare lui per non sporcarsi le mani, mentre lui o i suoi figli fumano erba che non coltivano e che comunque acquistano da mercati retti dalla delinquenza organizzata e questo anche se frequentano quelle associazione no-profit che invece fanno profit perché privilegiate dalla politica di appartenenza e non dal diritto e basta.
Mafia è tutto quello che non rispetta le regole comuni, sancite dal diritto costituzionale e internazionale, quelle regole che ci stanno tanto strette e che valgono solo per gli altri. Forse sarà per questo che il pensiero di alcuni boss della mafia assomiglia tanto a quello dell’uomo comune e anche per questo sono riusciti a vivere così a lungo nella loro latitanza perché, sotto sotto, sono visti molto simili a noi e li riteniamo uomini di successo e di potere, il potere di fare quello che vogliamo contro uno stato che, quando non è assente, detta regole che non ci piacciono, non capiamo o che non vogliamo capire.
Se un padre è quindi assente e non vive la sua famiglia, prima o poi, gli subentrerà un surrogato che lo sostituirà, prima o poi verrà un padrino.
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