Terra infelice

Campi coltivati, la stazione TAV e il fumo di un rogo ad Afragola (foto di C.Teodonno)

L’hinterland partenopeo, così come il Basso Casertano, continuano ad essere luoghi malsani e maledetti; passa il tempo, cambia la politica ma questi contesti continuano ad essere la pattumiera della regione.

Campania Infelix

Non è la prima volta che scrivo di questi luoghi, ma dalla prima volta che vi misi piede, anni orsono, non riesco a togliermi dalla mente le immagini di squallore e di vera e propria violenza sulla natura e sull’uomo alle quali ancora oggi sono costretto ad assistere.

Frequento spesso l’entroterra partenopeo per fare vigilanza ambientale e, pur se in continua evoluzione, i contesti rimangono sempre gli stessi: Afragola, Caivano, Acerra ed altri luoghi dimenticati da uno stato che qui si è arreso davanti all’evidenza della sua debolezza e soprattutto davanti alla sua incoerenza, che forse è anche peggio. Le Porte di Napoli, l’avveniristica stazione della TAV, cattedrali nel deserto in un contesto che non è più amena e produttiva campagna ma neanche centro di sviluppo economico: è un non luogo, un’enorme discarica dove vi si getta di tutto comprese le vite di quelle povere ragazze che arrivano dall’Africa in cerca di una vita migliore e finiscono lì a prostituirsi, usate anch’esse come cose, usa e getta come i rifiuti lì presenti.

Una volta fertili terre fecondate dal Vesuvio e irrigate dai Regi Lagni, ora luogo per lo stoccaggio di rifiuti che nessuno vuole o di termovalorizzatori che bruciano i rifiuti e quei buoni propositi di una differenziata e un abbattimento degli imballaggi mai del tutto messi in atto. Un reticolo di viuzze interpoderali, farcite fino all’inverosimile da scarti di ogni genere, evidente frutto di una sottocultura dell’illegalità e di un’economia tutt’altro che circolare e che ormai non è più figlia della sola camorra e del suo corollario di alibi, ma di quella diffusa mafiosità che rende tutti impuniti davanti ad uno stato che latita e ad una morale comune che giustifica quell’economia sommersa che masochisticamente violenta se stessa.

Don Patriciello mi disse una volta che un suo parrocchiano si era allontanato perché le sue omelie e le sue azioni lo avevano costretto a chiudere bottega, perché solo smaltendo illegalmente i suoi rifiuti poteva sopravvivere sul mercato, quell’uomo non era un mafioso, non era un delinquente, era un padre di famiglia.

Ecco perché lungo quei viottoli, quelli che altrove avremmo chiamato più romanticamente strade bianche, troviamo variopinti scenari bellici ricolmi di eternit e altro materiale di risulta edilizio; oltre a pneumatici, carcasse di auto e moto, ma anche tanti mobili usati, divani, lavatrici e centinaia di frigoriferi; incredibilmente tanti, realtà riscontrata anche altrove ma nella piana campana, tra i Lagni e vecchi casali diruti, ricolmi anch’essi di immondizia, la quantità è a dir poco sospetta.

Campania frigor

Lo scarto industriale e quello dei vari opifici della zona e delle località limitrofe, spiega i tanti rifiuti ivi presenti ma perché tanti frigoriferi? Ebbene è probabile che questi siano il risultato di un circolo vizioso che trova ragion d’essere solo nel lucro e nell’inciviltà; in effetti, all’atto dell’acquisto di un nuovo elettrodomestico, un privato cittadino può, anche se non è obbligato a farlo, consegnare quello dismesso agli esercenti che, in tal caso, sono invece obbligati a prenderlo ma con un documento di trasporto semplice, prendendolo come reso commerciale, senza emettere il cosiddetto FIR (Formulario di Individuazione dei Rifiuti) che invece dovranno stilare all’atto in cui questi si affideranno al consorzio per lo smaltimento di quelli che tecnicamente vengono definiti RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche). I RAEE verranno trasportati presso “isole ecologiche” ad hoc e da lì partiranno per essere differenziati e per essere reimmessi, come “materia prima seconda” nel ciclo industriale. Sembra però evidente, visto lo stato delle nostre campagne, che qualcosa qui non va.

In fin dei conti non è possibile fare un calcolo in base agli elettrodomestici effettivamente venduti, poiché il cittadino non è obbligato a disfarsene e quindi non è detto che ad ogni frigorifero venduto ce ne sia un altro da smaltire; pare però evidente che una falla nel sistema ci sia, perché se ci ritroviamo tanti frigoriferi nelle nostre campagne ciò accade o perché il cittadino fa da sé e lo getta nell’ambiente o si affida ad intermediari che, come può accadere anche nelle isole ecologiche dove stanziano i RAEE, arrivano i “saponari”, che siano italiani o di etnia rom, poco conta, poiché sono loro che, diciamo così, alleggeriscono questi elettrodomestici della loro parte più preziosa, ovvero rame e alluminio, fanno razzia del prezioso contenuto presente negli elettrodomestici lasciando lo scarto nelle campagne circostanti.

In un paese dove non ci si scandalizza più per l’immondizia per strada, perché il termine di paragone è quello delle montagne di monnezza che arrivavano ai primi piani dei palazzi durante il periodo dell’emergenza rifiuti, sembra chiaro che non si voglia vedere quello che c’è nelle nostre campagne, sui sentieri del parco nazionale del Vesuvio o in quelle altre zone fuori dal controllo delle autorità competenti e dalla vista dei ben pensanti, anche perché, secondo quella logica autoassolutoria che ci contraddistingue, la colpa di questo scempio è sempre di qualcun altro, sia quando smaltiamo un elettrodomestico, sia quando ristrutturiamo casa, quando cambiamo le gomme alla nostra auto finanche quando andiamo a fare la spesa, non curanti dell’impatto che hanno le nostre scelte. Forse è questo il vero problema, la nostra ipocrita cecità e la nostra abitudine allo squallore.

Per saperne di più sui RAEE