1995-2020, venticinque anni senza Angelo

Angelo Prisco (foto fonte web)

Il 19 dicembre 1995 veniva barbaramente ucciso Angelo Prisco, prima vittima della difesa di un Parco e di un concetto di ambientalismo disatteso e mistificato ancora oggi più mai. Prima e unica vittima a non aver ottenuto ancora giustizia.

Parafrasando Brecht ci auguriamo che nessun paese del mondo debba attingere al sacrificio degli eroi per sentirsi migliore e che nessuno debba essere tale per far valere i propri diritti e quelli di chi non può parlare.

Allo stesso tempo, visto che il progresso della nostra società è tale da aver ancora bisogno di anime pure da immolare sull’altare dell’ipocrisia, ci chiediamo ancora una volta perché, anche tra gli eroi, esista una discriminazione? Perché per taluni se ne perpetua giustamente il ricordo mentre per altri vale l’oblio? Ogni anno c’è chi ricorda qualcuno che come Angelo non meritava la morte prematura e violenta, ma per Angelo Prisco no, solo uno sparuto gruppo di amici e parenti ne porta avanti la storia e il ricordo.

Forse Angelo era scomodo? Non crediamo che lo fosse, del resto la sua era l’immagine perfetta del bravo ragazzo e del cittadino modello: giovane, atletico e innamorato, onesto e amato da tutti, ragazzo di chiesa, ambientalista e finanziere eppure, contrariamente a questo viatico, Angelo Prisco pare non debba meritare il rispetto della sua comunità, così come, a venticinque anni da quel maledetto martedì 19 dicembre 1995, nessuna autorità e nessuna istituzione ne ricorderà l’estremo tributo.

Purtroppo ai loro occhi per meritare il rispetto del ricordo devi avere il blasone di essere vittima della camorra altrimenti il tuo sacrificio decade ad una categoria inferiore ed hai voglia a sottolineare il fatto che, se la camorra e le altre mafie esistono, non è per caso ma per il semplice fatto che sono nate, cresciute e pasciute nel nostro brodo di coltura della mafiosità, quella che giustifica ancora le piccole e grandi prepotenze quotidiane ed insegna ai giovani che è il più forte che vince e non il giusto.

L’immagine vincente è quella del boss e, anche se non lo sei, è a lui che devi ispirarti, tanto si troverà sempre un poverello da seviziare, un debole da impaurire, un giusto da irridere e additare. E non parliamo certo dei figli delle 167 ma dei nostri figli, quelli che imparano la legalità a scuola e vestono narcos a casa; del resto che colpa gliene si vuol fare se l’esempio che diamo è quello di un sterile e stantio messaggio, quello delle parole vuote e quello di una realtà intrisa di ipocrisia e prevaricazione e che vorrebbe una delinquenza organizzata stile piovra, lontana e anonima, mentre tutto il resto: chi inquina, chi va in moto nel parco e chi va a caccia di frodo viene relegato a mero folclore. Ebbene è quel folclore che ha ucciso Angelo Prisco è stata quell’idea edulcorata della realtà vesuviana, fatta però del possesso e della prepotenza di chi considerava un suo diritto sacrosanto fare quel che aveva sempre fatto: ora cacciare, ora scaricare rifiuti, ora costruire su lagno, ora negare l’evidenza della nostra realtà.

Ecco perché, chi sostiene ancora che Angelo sia morto per altro, e non per la difesa di un principio, lo sta uccidendo per l’ennesima volta, così come lo hanno fatto tutte quelle altre volte che ne hanno infangato la memoria, inventando storie e giurando che erano di fonte sicura, per giustificare il dato di fatto che, qui da noi, la camorra esiste ed esisterà sempre finché non si ammetterà esplicitamente che la camorra siamo noi.

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