Quell’ultimo ponte

Il mural dedicato dagli amici ai 4 ragazzi torresi vittime del crollo del ponte Morandi (foto di Pamela Sangiovanni)

Che sia l’ultimo dei ponti ad essere caduto, che sia un simbolo di speranza come sempre lo sono stati i ponti, elementi di congiunzione, di avvicinamento e non di allontanamento e soprattutto, non un ricordo di morte. Riflessioni sul disastro del ponte Morandi.

Chi vi scrive ha perso un amico quel tragico 14 agosto di un anno fa, una di quelle persone con la quale entri subito in sintonia e che ti rimangono dentro per sempre, ora più che mai. Ma il mio pensiero va oltre la sfera personale che rimane mia, privata e non pubblica come la vergogna di quei giorni di sciacallaggio mediatico e politico.

Allora, un anno fa, decisi di non parlare, non scrissi niente a riguardo e feci questo per pudore e rispetto per chi soffriva e soffre ancora oggi, volli aspettare, attendere gli eventi, capire, osservare quanto di più umano e disumano accadesse in questi 365 giorni di lutto. Oggi però ho deciso di dire la mia e di dedicare il mio ricordo a tutte quelle persone che quel tragico giorno hanno perso la vita, a quei miei fratelli, a tutti quegli uomini, quelle donne e quei bambini che andavano in vacanza, a lavoro o semplicemente a trovare amici e parenti; avrei potuto essere anche io lì come loro, come chiunque altro abbia percorso quelle strade e quel ponte d’agosto.

Italiani, francesi, cileni, rumeni, colombiani, albanesi, il nuovo caleidoscopio del paese Italia, vittime di una tragedia di tutti e che è stata fin troppo vista come una tragedia genovese; Genova è stata senz’altro il luogo simbolo e fino a un certo punto casuale di questo ennesimo dramma italiano; la corsa sfrenata verso il progresso che caratterizzò gli anni 60, in un paese che cercava il suo riscatto economico e morale sul palcoscenico mondiale e la definitiva fuoriuscita dal dopoguerra con la sua entrata nel contesto delle potenze economiche mondiali, ci ha spinto spesso ad osare troppo, pagandone oggi le conseguenze. I ponti hanno un valore simbolico ma soprattutto pratico, quando facilitano il traffico delle merci e di conseguenza l’economia locale, ma i ponti devono durare, non crollare dopo 56 anni. Ma purtroppo, per i politici di tutti i colori e di tutti i tempi conta più ciò che è attuale che la memoria futura e, a questa regola basilare dell’opportunismo, si sono adeguati anche i tecnici, gli ingegneri, gli architetti, le ditte, gli operai e gli stessi cittadini che hanno costruito e accettato fatalisticamente quel sogno italiano, forse troppo veloce e dalle fondamenta ancora troppo instabili.

Queste sono per me le colpe morali di quel crollo e sono colpe collettive, di tutti coloro che così come oggi esaltano il venturo ponte di Renzo Piano, ieri esaltarono quello di Riccardo Morandi, cancellando con un colpo di spugna la memoria di quel che è stato e con lo sguardo sempre avanti verso un futuro assolutorio; ma avanti si va sempre dopo aver guardato indietro e con la consapevolezza di tramandare certezze e sicurezze ai posteri, non morte e distruzione.

Le responsabilità penali di quel crollo le stabiliranno i giudici, come è giusto che sia in un paese civile ma mi preme dire che, con i morti ancora caldi, ci fu chi scrisse già le sue sentenze e si rese partecipe di alcune delle pagine più schifose della nostra storia repubblicana, ci fu chi, a rappresentanza del governo della Repubblica, fece la sua passerella con tanto di selfie, in una frenesia, a dire il vero, collettiva, di quelle che solo i grandi eventi, quelli dal forte sconvolgimento emotivo come i disastri scatenano, liberando spesso i freni inibitori del giustizialismo di massa e relegando la dignità in un angolo buio e a molti ancora sconosciuto.

Ma davanti a politici che ammiccavano alla folla ed altri che la aizzavano contro i loro avversari, organizzando processi sommari in piazze reali e telematiche: davanti ad una politica che per nascondere la sua insipienza, ha voluto legare questa tragedia ad altre, radicando dubbi e false certezze tra i familiari delle vittime, c’erano invece alcune famiglie che, rifiutando tutto ciò, elaborarono ed elaborano ancora tutt’oggi il loro lutto privatamente, nell’intimità dei loro nuclei familiari e fuori da quella pazza folla di quei giorni atroci e di questi giorni ipocriti.

La giustizia, quella vera e non quella dei social non la si compra con gli indennizzi e non la si crea ad arte, la giustizia è figlia della verità ed è l’unica che col tempo diviene sempre più chiara ed inattaccabile ed è questo il messaggio che hanno mandato le famiglie di Giovanni, Antonio, Matteo e Gerardo.