L’alveo Molaro un tesoro nascosto

Briglia costruita tra il 1906 e il 1913 nella parte alta del Vallone del Molaro (foto di C.Teodonno)

Un tesoro naturale e di ingegneria idraulica che da oltre 118 anni resiste al tempo e all’incuria, ai rifiuti e all’abusivismo. Un luogo che vale la pena conoscere e che vale la pena proteggere. La sua storia e la proposta di un itinerario.

Andare in escursione sul Somma-Vesuvio è un qualcosa di singolare, diciamoci la verità, non è per tutti, soprattutto quando si percorrono sentieri alternativi o si preferiscono quelli meno affollati. Ci vuole un amore sviscerato, buone gambe, ma anche uno stomaco forte, soprattutto durante l’approccio a certi sentieri. In effetti, muoversi tra rifiuti d’ogni genere e pericolosità è un’attività che non si presta per chi la domenica mattina vuole rilassarsi all’aria aperta, e neanche li si può biasimare per questo; ma c’è chi sa bene che, il piacere della scoperta, la sorpresa per ciò che è sconosciuto, non sta dietro l’angolo e bisogna guadagnarseli.

È questo il caso del Vallone del Molaro e del suo sentiero, quello che attraversa Massa di Somma e Pollena Trocchia fino all’incontro col sentiero n°3 (la Strada delle Baracche) e che potrebbe anche essere completato ad anello con altri sentieri esistenti in zona. Il vallone è uno di quei tanti solchi che si dipanano lungo la corrugata caldera del Monte Somma e lungo i quali confluiscono, convogliate nei lagni, le acque piovane fino a valle, verso il mare come in questo caso o, come per gli alvei sommesi, nei Regi Lagni, o ancora, come invece accade per i lagni del versante boschese, nelle vasche di laminazione.

Il lagno del Molaro, talvolta chiamato anche Molara, si collega con quello di Trocchia e quello di Pollena, per raggiungere poi il mare lungo via Argine e fu oggetto di grandi opere di riassetto ed ex novo duranti i lavori del Genio Civile tra il 1906 e il 1913.

Il torrente Molara è fra tutti quello che si è presentato nelle più difficili e deplorevoli condizioni: corrosioni di fondo perfino di 10 e 15 m. di profondità, enormi scoscendimenti delle scarpate intagliate in alti banchi di pozzolana e di lapillo; rotte nei muri di sponda con invasioni di estese campagne, di strade ordinarie, di ferrovie e di abitati; ristrettezza di alveo incapace a contenere le copiose acque delle pendici discendenti dal monte, frammiste di numerosi e grossi blocchi.

Così lo descrive nel 1912, Riccardo Simonetti, Ingegnere e Ispettore Superiore per le Opere Pubbliche della Libia, nel suo testo La bonifica e la sistemazione idraulica dei torrenti di Somma e Vesuvio.

L’approccio al sentiero avviene invece partendo da Via Veseri, a Massa di Somma, posto in cui si potrà lasciare eventualmente l’auto. Qui, tenendo come punto di riferimento il collettore che troverete alla fine della strada (185 m.slm.), sotto la quale scorrono le acque meteoriche incanalate dal collettore, si prenderà la destra mantenendola, seguendo lo sterrato del lagno, dove saremo accolti da un sostrato di rifiuti che, dalla minima pezzatura aumenteranno gradualmente fino a diventare micro-discariche. Lo scenario infame delle briglie ricolme di rifiuti si alterna con quello assai interessante delle opere idrauliche iniziate nel 1906 dal Genio civile, in restauro di quelle borboniche, pressoché distrutte dall’eruzione di quello stesso anno.

Il lastricato originale è spesso coperto dal sabbione lavico o, come accade più in alto, dall’asfalto di chi aveva bisogno di maggiore aderenza per far passare i suoi automezzi. In effetti l’alveo del Molaro lambisce molti appezzamenti di terreno privati ed altre attività e, così come accade per l’alveo di Pollena, le stesse briglie sono spesso occupate dalle coltivazioni o da altre attività antropiche. Ad ogni modo, dopo circa 630 metri di percorso, si svolterà sulla sinistra per prendere un tanto affascinante quanto avventuroso canalone, che sale con i suoi pendii franosi (e franati!) fino a un livello più dolce e per questo è divenuto un luogo per manovrare meglio gli automezzi e scaricarvi i rifiuti, creando una vera e propria discarica.

Il percorso prosegue mestamente per circa 400 metri si incrocia sulla sinistra una deviazione che porta direttamente a valle, là dove abbiamo parcheggiato le nostre autovetture. Proseguendo invece diritto, non prima di aver lasciato sulla destra, a breve distanza tra loro, l’ormai abbandonato sentiero della Castelluccia e il rudere che gli da il nome, il contesto rurale, gradualmente, s’infittisce in un rigoglioso bosco mesofilo, con splendide e antiche colate di lava che fanno da impluvio per le acque piovane.

Il sentiero sale gradualmente tra robinie, carpini e castagni, è pulito, neanche i fastidiosi rovi intralciano il cammino ed è evidente quindi la mano dell’uomo che, anche con mezzi a motore si inerpica fin quassù, ben oltre i 400 metri. Anche se non manca un grossa frana ancora attiva, il sentiero non comporta grosse difficoltà o pericoli e diventa molto ripido solo nel suo tratto finale in prossimità del suo sbocco nel sentiero Numero tre; una briglia, sormontabile con l’ausilio di un corda, vi indicherà infine la prossimità dell’importante asse escursionistico.

Il nostro itinerario potrà quindi essere percorso a ritroso, per tornare al punto di partenza o proseguito ad anello, un’opzione potrà essere quella di proseguire, in maniera gradevole, lungo il Sentiero delle Baracche, in direzione Ercolano (direzione S/SO), qui, dopo circa 770 metri si arriverà all’incrocio della Via Traversa (da non confondere con la Traversa a Somma Vesuviana) dove si incrociano il tratto di N°3 che sale verso le creste dei Cognoli, la via che porta all’entrata ufficiale del sentiero sulla Strada Provinciale e i due percorsi che scendono verso Massa, quello chiuso della Castelluccia e quello delle Capre che si prenderà per scendere più a valle.

Il sentiero delle Capre, già descritto in un passato articolo, attraversa il bosco del Molaro per poi scendere lungo il crinale che affaccia da sud sulla colata lavica del 1944 e a nord sulla concavità del vallone del Molaro, oltre il quale potremo riconoscere anche la cresta del sentiero della Castelluccia. Giunti quasi alla fine del sentiero, a 436 metri d’altitudine e dopo quasi 5 km di percorso totale, troviamo sulla destra una deviazione segnalata da nastrini di plastica e da alcune vecchie staccionate; qui parte una deviazione che svolta a gomito e riporta verso il bosco del Molaro per poi ridiscendere nel suo alveo. Il percorso è facilmente leggibile per la linea di calpestio abbastanza evidente e per una staccionata che, per quanto malridotta, ci guiderà ripida fino a quote più basse. Al termine di questa incomincia una serie di briglie che dovranno essere superate in discesa fino a riprendere un sentiero più agevole e che vi condurrà nel lagno del Molaro, antropizzato più che mai e, dopo circa 6 chilometri complessivi e a 250 metri d’altezza, mantenendo la destra ci si troverà sul tratto iniziale di lagno che condurrà fino al collettore e alle autovetture.