Riflessioni dal balcone

Caditoia sconnessa (foto di C.Teodonno)

Sono trent’anni che vivo nella mia casa e sono trent’anni che m’affaccio dal mio balcone per volgere il mio sguardo sul mondo. Sono trent’anni che, lasciata la casa paterna, vedo tante cose, molte nuove, altre ritornano di tanto in tanto, ed altre ancora si ripetono ciclicamente. Ciò che però cade puntualmente ogni anno, più puntuale delle stagioni, e talvolta più volte all’anno, sono tre eventi collegati tra loro ovvero la rottura di una caditoia, la perdita dai tubi di diramazione ai contatori dei miei dirimpettai e la perdita con conseguente dissesto del manto stradale sempre nello stesso luogo.

Capisco che nelle cose umane non esiste nulla di definitivo o che niente duri in eterno, e non pretendo per questo neanche che la perfezione sia di questo mondo, ma credo che in questi ciclici e puntuali eventi non ci sia solo l’azione degli agenti atmosferici o la consunzione dei materiali e neanche l’usura dovuta al passaggio degli automezzi, ma credo appunto che ci sia qualcosa di più.

Credo infatti che tutto ciò sia una metafora del contesto in cui vivo e di come qui si affronti la gestione della cosa pubblica.

Se io comune, io sindaco, io assessore, ma anche io impiegato od operaio che sia, faccio ogni anno la stessa riparazione e se c’è pure chi puntualmente te la segnala, allora mi porrei qualche problema e questo a meno che tutte le suddette parti in causa non siano a conoscenza del fatto che questo accada o che lo considerino normale se non addirittura conveniente. E non parlo solo di un semplice fatto economico, perché pare evidente che se i dipendenti di un comune intervengono più volte all’anno per almeno trent’anni, una spesa ci sarà pur stata e non da poco, così come lo stesso vale per la riparazione della strada e delle tubature ad opera della GORI e dello stesso comune e questo al netto delle spese fuori bilancio per pagare i danni procurati ai malcapitati automobilisti che lì vi hanno lasciato pneumatici, sospensioni, braccetti e una fila interminabile di bestemmie che cominciano da Maria Santissima Madre di Dio e terminano con San Silvestro.

Il fatto economico, dicevo, lo do per scontato, là dove è normale sperperare soldi pubblici con la scusa che “tutte quante amma campà”, ma la cosa che più mi sconvolge è quella che tutto vada avanti ininterrottamente come un moto perpetuo dell’imbecillità dove l’assurdo diviene norma e dove nessuno si scandalizza più di tanto che ciò accada, salvo rimanerci con le proprie ruote dentro perché, quando il danno è diretto, allora sì che fa male e svaniscono alibi e attenuanti.

Lo scorso anno quando chiesi ad uno di quegli operai che quagliava alla meno peggio l’alloggio della caditoia, se non fosse possibile fare un lavoro, non dico definitivo, ma che almeno durasse l’arco di un anno, mi vidi rispondere soltanto con un sorrisetto da furbastro e uno sguardo di complicità verso il collega che apparentemente l’aiutava. Il solito pensionato lì presente, a presidio dell’estemporaneo cantiere, mi rispose: “e chille comme fanno l’anno che vene, nun faticano chiù?”

Una scena molto simile si è prospettata allorquando, al cospetto dell’addetto di un subappalto della GORI, al quale più per scientifica curiosità che per l’ormai rassegnato senso civico, mi ero permesso di chiedere se c’erano particolari ragioni ambientali o geografiche che spiegassero il continuo ripetersi di quelle perdite e di quei conseguenziali cedimenti. Stavolta, il giovane munito di tablet ad uso macchina fotografica per attestare l’esito della riparazione, mi guarda stranito e mi risponde, tra lo sbalordito e l’infastidito: “non lo so!”

Ecco, devo imparare a farmi i cazzi miei, perché mai devo sconvolgere il normale ordine delle cose? Che mi entra nella tasca a me, oltre a quello che me ne esce come contribuente? Perché devo fare il rompiscatole nel mostrare ciò che è ovvio ed è davanti agli occhi di tutti? Perché fare l’uccello del malaugurio facendo notare la pericolosità, di quello stato delle cose, per la circolazione pubblica? Di chi sarà mai la colpa se non della strada stessa, della pioggia, del cambiamento climatico e di chi c’era prima? Allora capisco tutto e capisco che, effettivamente, l’unico grave problema, sono io!