Il Sabato dei Fuochi e il sentiero dell’anima

 

Il diario minimo di un paranzaro anomalo ma felice. Le emozioni di chi vive una celebrazione che dura un anno intero e che ti resta per tutta la vita.

Jo song’e tutte quante pecché non song’e nisciuno.

Jo nun m’o mereto, non merito di vivere ogni anno questo spettacolo d’arte varia che è il Sabato dei Fuochi; anche se la mia confidenza e la conoscenza delle paranze è ormai ben consolidata, mi sento sempre il classico pesce fuor d’acqua, più per quel senso di inadeguatezza che ancora provo, soprattutto prima che il vino faccia il suo effetto, che per l’altrui distanza. Anzi, la distanza è proprio quella che manca in questo giorno benedetto e non solo per le anguste baracche ma per l’umana affinità.

In questa festa di tutti coloro che raggiungono il Ciglio, come spesso ho scritto e ribadito, si è tutti uguali al cospetto del tutto, della Mamma Schiavona, della Mamma Pacchiana, della propria donna, del proprio uomo, dei propri figli, dei nipoti e davanti a noi stessi e gli altri: al cospetto del mondo e delle foglie cadute e dei germogli che le sostituiranno.

Trasferire le emozioni, anche se a breve distanza dagli eventi da cui scaturiscono, non è facile, le parole, scritte, quando non ristagnano nell’oblio della sedentarietà, non spiccano il volo, non hanno colori apparenti e nemmeno suoni se non le si legge ad alta voce e col giusto tono e la giusta sensibilità, bisogna infatti comporle per bene per emozionare ed emozionarsi. Ma quest’anno c’è stata la tempesta perfetta del Sabato e tutto è stato un po’ più facile e scoppiettante, tutto è andato per il verso giusto e questo grazie principalmente a chi ha lavorato un anno intero di una vita intera a questo evento, ma quest’anno anche madre natura c’ha messo del suo, offrendoci un contesto dove pareva che il mondo di sotto, quello che sta a valle del Ciglio, fosse separato da una candida coltre di nubi, al di sopra delle quali c’eravamo solo noi, il sole e la festa.

Non che l’intimità dei giorni di pioggia ci abbia mai distolto dalla ritualità ancestrale del Sabato dei Fuochi ma effettivamente ieri, noi e il resto di noi eravamo un tutt’uno e anche per questo ci siamo lasciati andare come non mai perché, prima di ieri, prima che la pandemia, i lutti e le nostre umane miserie non rallentassero o riducessero questo nostro naturale istinto alla gioia, prima di ieri dicevo, vivevamo nell’ombra, oggi invece splende ancora il sole.

Ieri* ho visto lacrime e risa, ho visto lo sfogo dell’anima di chi incamera dolore tutto l’anno, ma ho visto la vita, quella che con il passare degli anni e il mancare degli affetti, diviene un bene sempre più prezioso, prezioso come ogni singola parola detta sul Ciglio, ogni sguardo, ogni sorso, ogni canto.

Pe’ cient’anne!

“Castagnette” e “Alba sul Ciglio” (foto di Ciro Teodonno)

 

Gallerie Fotografiche:

Sabato dei Fuochi 2024

Gente del Ciglio

 

* Scritto il 7 aprile 2024