16 dicembre 1631, inizia il “Grande incendio” del Vesuvio. Ricorre oggi il 389° anniversario
Oggi, 16 dicembre di 389 anni fa iniziava la più devastante eruzione moderna del Vesuvio. Ripercorriamo quel tragico evento con l’aiuto di alcune immagini dell’epoca.
La quiete prima della tempesta
Sul finire del 1631 il Vesuvio era tranquillo da ormai moltissimi anni, almeno 130 circa, (ma secondo alcuni anche qualche secolo in più) e nulla faceva presagire quanto stava per avvenire.
Solo nei primi giorni di dicembre si erano alcune avvisaglie, con piccoli terremoti, sollevamento del suolo, prosciugamento dei pozzi, ma nessuno si sarebbe aspettato ciò che accadde solo pochi giorni dopo.
Il Grande Incendio vesuviano
il “Grande incendio” ebbe inizio alle 7 del 16 dicembre con una fortissima esplosione che generò una colonna eruttiva alta tra i 10 e i 20 km. Il cielo si oscurò, e il sole fu coperto dalla nube di ceneri e lapilli, il suolo fu scosso di continuo da una serie di terremoti e in serata arrivò anche la pioggia.
Il giorno successivo iniziarono a generarsi dei flussi piroclastici (fiumi di fango e ceneri ad alta temperatura) causati dal collasso della colonna eruttiva lungo i fianchi del vulcano, questi, mischiatisi al fango di ceneri causato dalle abbondanti piogge della notte, iniziarono a correre a gran velocità lungo le pendici del monte investendo e distruggendo i centri abitati, anche a grandi distanze.
In questa incisione tratta dall’opera del gesuita Giovanni Battista Masculi “De incendio Vesuvii…“, edita a Napoli nel 1633, si notano tutti i casali e villaggi della zona costiera vesuviana sommersi e incendiati dai flussi piroclastici.
San Sebastiano, Massa, San Giovanni a Teduccio, Resina, Portici, Leucopetra (attuale zona di Pietrarsa), Barra e poi le chiese di Madonna dell’Arco, Pugliano, del Soccorso. L’autore illustra anche le nuove spiagge createsi per l’arretramento del mare e le tre torri molitorie sulla spiaggia lungo la strada per Napoli.
Su tutto sovrasta l’immagine di San Gennaro che interviene per fermare la catastrofe.
Processioni e penitenze
Per la gran massa di cenere emessa il cielo restò oscurato per diversi giorni causando tra la popolazione sgomento e panico. Soprattutto a Napoli, che non fu direttamente toccata dai flussi ma comunque invasa da ceneri e lapilli, numerose furono manifestazioni di penitenza spontanee le processioni devozionali, ed anche l’Arcivescovo Francesco Boncompagni (che era rocambolescamente ritornato a Napoli da Torre del Greco dove era in convalescenza) nonostante la pioggia battente ne organizzò alcune. Una in particolare, che mosse dal Duomo di Napoli la sera del 17, con in testa il busto e il sangue di San Gennaro, affinché il patrono intercedesse per calmare la collera del vulcano. Secondo alcune testimonianze dell’epoca pare che proprio al giungere della processione al ponte della Maddalena l’eruzione iniziò a scemare.
La scena fu dipinta qualche anno dopo da Micco Spadaro. Il dipinto raffigura la processione che si svolse a Napoli, guidata dal cardinale Boncompagni, insieme al viceré, con le reliquie di San Gennaro invocato affinchè per intercedere per porre termine al flagello.
In realtà cessò solo alcuni giorni dopo lasciando dietro di sé morte e devastazione.
Infatti nonostante che l’eruzione fu caratterizzata dall’assenza di colate laviche, ma solo dalla ricaduta di ceneri e pomici emessi nell’aria e dai flussi piroclastici, fu comunque la più spaventosa mai registrata e causò almeno 4000 vittime (ma c’è chi parla di 10000) e circa 45000 sfollati rifugiatisi a Napoli.
Solo nel casale di San Sebastiano, grazie alla cronaca manoscritta del parroco don Bernardino Di Luca, sappiamo che le vittime furono il 25% della popolazione (150 su circa 600 abitanti).
Il territorio fu totalmente sconvolto, nulla più fu come prima e anche il Vesuvio stesso ne restò vittima, infatti al termine dell’eruzione il gran cono risultò più basso di circa 450 metri.
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