Travestiti di luce

Foto di Enrico Accardo

La parola ‘fotografia’ deriva dal greco antico ed è composta da ‘φῶς’ (phôs, luce), e ‘γραφή’ (graphè, scrittura o disegno).

Quindi la frase “scrittura effettuata mediante la luce” potrebbe sintetizzare al meglio l’insieme dei processi chimici e fisici volti a quel risultato finale che ci lascia sempre senza parole.

Il termine sarebbe stato coniato per la prima volta dallo scienziato britannico Sir John Herschel (Sir John Frederick William Herschel; Slough,7 marzo 1792-Hawkhurst,11 maggio 1871) nel 1839 unendo le parole greche citate in precedenza.

L’origine della fotografia risale al IV secolo a.C., quando Aristotele si avvale dei principi della camera oscura, dove un’immagine viene proiettata attraverso un piccolo foro, nel quale appariva capovolta. La camera oscura è considerata la chiave di volta su cui sono stati costruiti altrettanti sviluppi rivoluzionari e invenzioni nell’ambito della fotografia.

Verso la metà del XVII secolo, con l’invenzione di obiettivi realizzati dettagliatamente, gli artisti iniziarono a utilizzare la camera oscura come linea guida nel disegno e per dipingere le immagini provenienti dal mondo che li circondava.

Joseph Nicéphore Niépce e Louis Daguerre sono considerati gli inventori della fotografia con macchine fotografiche molto simili a quelle che conosceremo poi. Niépce sperimenta con la fotografia di cloruro d’argento e alogenurd d’argento, ma non riusciva a impedire l’oscurarsi delle pellicole dopo l’esposizione alla luce. Nel 1826 venne realizzata la prima fotografia della storia: Niépce riuscì a scattare la prima fotografia con fotocamera utilizzando un foglio di peltro rivestito di bitume, che richiese un tempo di posa di diverse ore, posizionò la lastra di metallo in un solvente, e lentamente apparve un’immagine, che rappresentava il panorama fuori dalla finestra del suo laboratorio a Saint-Loup-de-Varennes, in Francia. Queste eliografie, o impronte solari, sono considerate le prime immagini fotografiche. Il suo processo richiese 8 ore di esposizione alla luce per creare un’immagine che sarebbe svanita immediatamente.

Daguerre, nel 1839, con tempi di esposizione di pochi secondi, per la prima volta utilizzò il dagherrotipo, che divenne il mezzo per effettuare ritratti.

Fu la Kodak, nel 1913, ad inventare per l’industria del cinema la pellicola da 35mm.

La domanda può sorgere spontanea: solo chi sceglie di fare il fotografo come professione può fotografare?

La risposta è no.

La fotografia è un linguaggio universale che parla in maniera diretta alle emozioni umane. Ci connette alle esperienze altrui: l’empatia trasmessa dal sorriso di un bambino, la nostalgia di un tramonto e l’intensità degli occhi di una persona. Scegliere di ritrarre un volto, piuttosto che un paesaggio ha scopi diversi e un obiettivo ben preciso: comunicare qualcosa, suscitare delle emozioni forti attraverso un supporto, portare nelle nostre mani simboli di luoghi che sono fisicamente lontanissimi da noi. Può narrare storie, catturare la bellezza, provocare riflessioni profonde, catturare la bellezza o addirittura esplorare i concetti più astratti. Le fotografie sono finestre aperte su esperienze passate o visioni del futuro: ogni scatto racconta una storia e coglie l’essenza di un momento fugace, rievoca memorie lontane o ci catapulta in mondi mai esplorati. Le persone tendono ad immortalare momenti particolari o oggetti ‘stupidi’ per conservare e condividere ricordi significativi, catturare la bellezza del momento o dell’oggetto, oppure per esprimere emozioni e sensazioni attraverso l’arte della fotografia (così come con la pittura).

La fotografia permette di preservare i ricordi, condividere esperienze e trasmettere emozioni attraverso le immagini. Potremmo dire che la fotografia accorcia le distanze, proprio come ha deciso di fare Enrico.

 Enrico Accardo,

un fotografo che ha iniziato a scattare foto nei villaggi turistici (lavora come animatore) ha dato vita a progetto fotografico innovativo.

Sui social si fa chiamare Elefante blu (un nome particolare al quale crede che i lettori possano o meno attribuire un significato specifico)

Il suo progetto fotografico si intitola “I travestiti”: una continuazione del servizio fotografico realizzato da Lisetta Carmi nel lontano 1972.

Questo servizio mette in luce una fetta di società italiana ancora sconosciuta a molti, sensibilizzando in tal modo l’opinione pubblica sul tema LGBT. Crede che la bellezza delle persone si trovi nel coraggio di cambiare soprattutto dal lato estetico, come succede nel teatro con i costumi dove uomini possono rappresentare personaggi femminili o addirittura delle caricature.

Il suo intento è quello di creare una rete di fotografi per realizzare un servizio fotografico sul tema qui citato, scattando foto e intervistando i cosiddetti travestiti, i femminielli storici della città di Napoli, poiché questa città ha contribuito alla loro salvezza grazie alla volontà di accogliere le persone ‘diverse’ dagli standard della società, a cui è toccato scappare dalle famiglie con ideologie tradizionali e arcaiche, e per altri addirittura la prostituzione per sopravvivere.

A gran cuore chiede a chiunque fosse interessato a questo progetto (il quale si augura che possa avere risposta dagli appassionati di fotografia) di partecipare. Per chi fosse interessato lo contatti sui social @_elefanteblu_ oppure per email enry.accardo@libero.it

Stella Castaldo